Funnel è solo un’altra parola per ‘relazione tossica’ (se lo usi male).

Un funnel non è quella roba mistica che i guru vendono come se fosse la bacchetta magica di Harry Potter. È semplicemente un percorso guidato, pensato per accompagnare una persona da “ti ho visto per caso su internet” a “ok, pago e torno pure contento”. Lo puoi pensare come il percorso di un videogioco anni 2000: livello 1 ti incuriosisco, livello 2 ti do valore, livello 3 ti faccio capire che senza di me resti bloccato al boss finale, livello 4 acquisti la spada laser (aka il servizio/prodotto).

La logica è semplice: non butti gente a caso dentro una campagna pubblicitaria sperando che compri, ma costruisci step chiari in cui ogni azione serve a ridurre dubbi, aumentare fiducia e spingere al passo successivo. Il funnel è il contrario dell’improvvisazione: è regia. È Netflix che ti suggerisce la serie perfetta per farti restare sveglio fino alle 3, solo che al posto della serie ci sei tu con la tua offerta.

Ma in concreto?! Ti faccio degli esempi esemplari esempleralissimi!

1. Il freelance (Personal Trainer, Grafico, Coach, Consulente, Copywriter)

Il funnel qui è come una serata in discoteca anni 2000 (ma quanto sono belle!): all’inizio sei quello che balla un po’ goffo in mezzo alla pista e devi farti notare.
Livello 1 è un contenuto che colpisce (post, reel, newsletter con un insight brillante).
Livello 2: dai un assaggio gratuito del tuo valore, un pdf, una mini-guida o una call introduttiva.
Livello 3: mostri i tuoi casi studio, fai capire che non sei l’ennesimo improvvisato con Canva.
Livello 4: chiudi con un’offerta chiara, senza “vediamo, sentiamoci, ci penso”: pacchetti definiti, prezzo trasparente, CTA diretta.

2. L’attività locale (ristorante, centro estetico, palestra, studio medico)

Qui il funnel è molto più “terra terra”. Non devi convincere il cliente che il tuo prodotto è indispensabile, devi ricordargli che esisti e che sei meglio del vicino.
Livello 1: adv geolocalizzata o social con immagini accattivanti, recensioni vere, magari un reel che fa sorridere.
Livello 2: lo porti dentro il tuo mondo, tipo menù aggiornato, promo “vieni con un amico e risparmi”.
Livello 3: contatto diretto – prenotazione WhatsApp, form semplice, zero fronzoli.
Livello 4: esperienza sul posto impeccabile, perché il funnel non finisce all’acquisto ma nel momento in cui il cliente esce soddisfatto e parla di te.

3. La PMI (azienda strutturata, B2B o B2C)

Qui il funnel è un’odissea, non un one-shot. Si parte con contenuti autorevoli (blog, webinar, white paper) per creare fiducia. Poi lead magnet più corposo (e-book tecnico, demo gratuita, preventivo simulato). Terzo step: nurturing – newsletter segmentate, casi studio, testimonianze video, tutto ciò che serve a demolire le obiezioni. Quarto step: vendita tramite commerciale o offerta personalizzata, ma su un cliente già scaldato, che ha fatto il percorso e non è più “freddo”.

Ora i falsi miti più grossi sui funnel (quelli che sento ripetere come i tormentoni estivi)

  • “Un funnel ti fa vendere mentre dormi.”
    No. Il funnel non è un bancomat. È un sistema che ti permette di organizzare i contatti e guidarli, ma se il prodotto fa schifo o la comunicazione è stantia, non venderai nemmeno mentre sei sveglio.
  • “Più step metti, più funziona.”
    Altro errore: troppi passaggi annoiano e fanno scappare. Non è un labirinto di Resident Evil, è un sentiero. Ogni step deve avere un senso, non solo riempire slide nei corsi motivazionali.
  • “Se non usi tool iper-tecnologici non stai facendo funnel.”
    Falso. Un funnel può essere anche un cartello fuori dal negozio che invita a entrare, più la promo al banco e la fidelity card. Non serve HubSpot da 1.000€ al mese per fare marketing intelligente.
  • “Una volta creato, funziona per sempre.”
    Vorrei dirti sì, ma la realtà è che cambia tutto: il mercato, gli algoritmi, le persone. Un funnel va rivisto e testato, altrimenti diventa come un vecchio MySpace abbandonato: intoccabile e inutile.
  • “Serve solo online.”
    No, il funnel è un concetto mentale prima che digitale. Anche un parrucchiere che ti accoglie bene, ti propone il trattamento, ti invita a tornare e ti ricorda via SMS la prossima prenotazione… sta usando un funnel, anche se non lo sa.

I funnel non sono il male. Ma spesso vengono usati come scuse.

Non è colpa del funnel è colpa di come lo immagini. (Semicit)
Di come te lo vendono gli altri: lineare, ordinato, prevedibile. Come se bastasse infilare un contatto in alto per ottenere un cliente felice in basso. Nella pratica, i funnel usati male diventano una forma di ghosting programmato. Una relazione tossica automatizzata. Un viaggio in cui il cliente viene trascinato senza sapere perché.

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Niente relazione. Solo pressione.

Tu magari volevi costruire fiducia, ti ritrovi a fare l’opposto: spingi. Insegui. Sembri disperato. Il funnel, se non lo governi, inizia a parlare con voce tua, ma senza la tua presenza. E questo, a lungo andare, si sente.

Se il tuo funnel non riflette chi sei, ti allontana da chi ti serve davvero.

Costruire un funnel efficace non significa solo “portare la gente alla fine”.
Significa fare in modo che ci arrivi la gente giusta, nel modo giusto, al tempo giusto. Se chi entra nel tuo mondo trova solo automatismi senz’anima, è come entrare in un negozio dove ti salutano con una voce preregistrata.
Puoi anche avere un ottimo prodotto, ma la sensazione sarà sempre: qui nessuno mi ascolta davvero.
Le persone non vogliono solo soluzioni. Vogliono sentirsi comprese e un funnel efficace non si limita a convertire. Accompagna. Rassicura. Ascolta. Seleziona.

Il problema non è la struttura. È l’intenzione che ci metti dentro.

Un funnel può essere lineare o circolare, breve o lungo, automatico o semi-manuale.
Ma non può essere freddo.
Il vero nodo è l’intenzione. Vuoi davvero creare una relazione? O vuoi solo vendere in fretta, prima che l’interesse evapori? Vuoi creare fiducia? Allora devi rallentare. Devi mostrare coerenza. Devi rispettare i tempi di chi legge, guarda, esplora.
L’automazione va benissimo. Ma prima viene la presenza.
La relazione non si costruisce con un timer… Si costruisce con coerenza tra ciò che dici e ciò che fai, il funnel non può esimerci da questo.

Il cliente non è un “lead caldo”. È una persona che sta cercando di fidarsi.

Chi ha tirato fuori la metafora del funnel l’ha fatto pensando a una perdita: tanti entrano, pochi restano. Ma se ci rifletti, è un’immagine che parte già storta, perché parla di scarto. Tu non lavori per scartare. Lavori per selezionare, connettere, creare scelte consapevoli.
Un funnel dovrebbe somigliare a un invito, non a una trappola. Più a una conversazione che evolve che a una sequenza rigida di click obbligati. Più a una stretta di mano che a un modulo con mille campi da compilare.  Se parli a tutti, chi ti interessa davvero non ti sente. E se cerchi di convincere chiunque, finisci per sembrare identico a chiunque.
Il funnel di per sé non vende nulla. Quello che vende è la fiducia che riesci a costruire. Il funnel è un contenitore, niente di più. Se dentro non ci metti onestà, tono, attenzione e valore, resta solo un tubo vuoto. Non è la sequenza che fa il lavoro, è la relazione che ci costruisci dentro.
Chi ti segue deve sentirsi visto, anche dentro un’automazione. Deve percepire che dietro quelle mail, quei contenuti, quel percorso c’è qualcuno che sa quello che dice e non ha paura di metterci la faccia. Non serve aprirsi come in un diario segreto a ogni newsletter, basta non trattare le persone come pixel da spingere a forza verso un bottone.

Funnel umani. Strategia vera. Marketing che respira.

Il marketing non è un sistema per buttare dentro gente a caso. È un modo per farti riconoscere da chi ti sta già cercando, anche se ancora non lo sa. E se il tuo funnel non riflette chi sei davvero – identità, valori, stile di lavoro – ti porta solo le persone sbagliate. O peggio, non ti porta proprio nessuno.
Un funnel umano è fatto di scelte, pause e chiarezza. Non ti promette salvezza eterna, ti promette coerenza. E chi cerca valore, questo lo percepisce. Sempre.

Prendiamo un esempio semplice. Hai creato un freebie: guida scaricabile “Come migliorare la visibilità online”. Lo promuovi con un form sul sito e una campagna Instagram. L’utente lascia la mail. Da lì scattano due possibili mondi:

Funnel tossico: stile “spingi finché non cede”
Appena scarica il file, riceve subito una mail con scritto: “Hai solo 24 ore per approfittare dell’offerta.” Dentro: sconto per una consulenza one-shot da 250€, senza che quella persona abbia idea di chi tu sia. Il giorno dopo reminder, poi scarsità: “Ultime ore.” Poi silenzio. Risultato? Disiscrizione se va bene. Se va male, hai bruciato fiducia e reputazione. Qui non c’è relazione, c’è solo pressione mascherata da strategia.

Funnel umano: con intenzione e contesto
L’utente scarica il file. Riceve una mail che lo ringrazia, gli racconta il tuo approccio e cosa troverà nei prossimi giorni. Il giorno dopo, una riflessione su un problema comune dei tuoi clienti. Una settimana dopo, un caso studio o una mini-storia tua. Alla terza o quarta mail, solo se ha aperto almeno due volte, arriva l’invito a una call gratuita. Senza fretta, senza pushare. Risultato? Chi arriva alla fine non è caldo perché l’hai braccato, ma perché si è avvicinato lui. Ha avuto tempo di fidarsi.

Ecco il punto: un funnel non è un imbuto, è un sentiero. Tu puoi riempirlo di cartelli lampeggianti stile Vegas oppure di indicazioni chiare che portano a una porta aperta. È un percorso che amplifica la tua voce. Puoi usarlo come un megafono tossico o come una bussola che porta le persone giuste verso di te.

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