C’è una parola che, negli ultimi anni, ha perso significato più velocemente del pane in cassetta lasciato al sole: autenticità. La trovi ovunque. Nei post ispirazionali, nei funnel dei personal brand, nei podcast con microfono a vista e sguardo intenso. Ovviamente, su Instagram, dove pare sia sufficiente dire “sono autentico” per diventarlo.
Ma la verità è che l’autenticità non è una posa. Non è una strategia camuffata da sfogo, non è nemmeno il contrario della professionalità. È qualcosa di molto più complesso, sfumato e, diciamolo subito, scomodo.
Perché essere autentici davvero significa mettersi in discussione, non solo esporsi. Significa scegliere cosa mostrare, ma anche cosa no. Significa avere un centro chiaro, non solo un’estetica coerente.
In questo articolo andiamo oltre la retorica e mi piacerebbe parlare di autenticità nel marketing, nel personal branding e nella comunicazione digitale come si dovrebbe parlare di qualunque cosa importante: con onestà, con metodo e senza fuffa.
Quando l’autenticità diventa marketing emozionale travestito
Uno dei problemi più diffusi è confondere l’autenticità con l’emozione. Basta un post in cui racconti che sei caduto e ti sei rialzato, magari accompagnato da una foto struccata o da una frase tipo “non è sempre facile” per essere percepiti come veri.
Funziona? Nel breve, sì. Ma è un effetto che si esaurisce presto, soprattutto se inserito appositamente solo per creare engagment fine a se stesso.
Perché non basta mostrare le proprie fragilità. Serve che quelle fragilità abbiano un senso all’interno della narrazione. Che siano legate a un percorso, a un messaggio, a un’identità. Altrimenti sono solo contenuto da algoritmo, costruito per sembrare umano.
Il pubblico, oggi più che mai, lo percepisce. Forse non lo sa razionalizzare, ma lo sente. Si crea quella fastidiosa dissonanza tra “dovrei empatizzare” e “mi sembra tutto troppo perfetto per essere vero”. Il risultato? Si genera sfiducia, trasformando l’autenticità, da leva di connessione, in una barriera.
Autenticità non è spontaneità. È intenzione.
Uno degli equivoci più pericolosi è pensare che per essere autentici basti “dire le cose come stanno”. Come se comunicare online fosse uno sfogo emotivo, un flusso di coscienza da condividere con chiunque capiti nella nostra bolla digitale… Lo si può fare se si è Influencer – con il giusto modo – ma quando si usa la comunicazione per la propria attività professionale, bisogna stare molto attenti.
Ma l’autenticità vera richiede intenzione, una scelta: cosa mostro, come lo racconto, perché lo condivido? Non si tratta di manipolare, ma di contestualizzare. Di creare significato.
Il punto non è essere “trasparenti”. Nessuno lo è davvero. Tutti scegliamo cosa far vedere. Dobbiamo essere consapevoli che le cose che scegliamo di mostrare siano coerenti con ciò che siamo o facciamo. Che non si avverta quella frattura tra il “pubblico” e il “privato”.
Il tono di voce non è solo estetica: è la tua coerenza emotiva
Molti freelance e piccoli brand pensano al tono di voce come a una scelta di “tono emotivo”: ironico, empatico, serio, motivazionale. In realtà il tono di voce è una conseguenza, non un punto di partenza: la conseguenza della tua visione, dei tuoi valori, della tua esperienza. È ciò che accade quando scrivi (o parli, o filmi) senza dover filtrare te stesso attraverso una versione idealizzata del professionista che pensi gli altri vogliano vedere.
Il tono autentico è quello che puoi sostenere nel tempo, in ogni canale, anche quando sei stanco, anche quando sei in crisi. Perché non è costruito: è tuo. È solo stato riconosciuto, organizzato e messo a servizio della relazione.
Autenticità non è per forza vulnerabilità
Siamo in un’epoca dove raccontare il burnout fa engagement. Dove dire “sono umano” è quasi un imperativo narrativo. Ma c’è un problema: non tutti si sentono a proprio agio a mostrare certe parti di sé, non c’è nessun problema in questo.
Essere autentici non significa svelare ogni dettaglio della propria vita o mostrarsi sempre in crisi. Significa scegliere cosa condividere in base a ciò che si vuole costruire: una relazione di fiducia.
Autenticità può voler dire anche dire “oggi non pubblico nulla perché non ho niente da dire”.
Può voler dire rifiutare la sovraesposizione, mantenere confini. Non c’è un’unica forma valida ma c’è solo quella che ha senso per te e per le persone con cui vuoi lavorare.
Personal branding autentico non vuol dire improvvisato
La grande trappola di chi vuole comunicare in modo autentico è rifiutare qualsiasi tipo di strategia. “Non voglio sembrare costruito”, dicono. Ma la verità è che senza struttura, il messaggio si disperde.
Autenticità e strategia non sono nemici. Sono alleati.
La strategia ti aiuta a essere te stesso in modo comprensibile per gli altri. Ti permette di creare contenuti che abbiano un impatto, senza tradire chi sei. Un personal branding autentico è come una casa progettata su misura: riflette chi ci vive, ma è costruita con criterio. Ha fondamenta, stanze pensate per uno scopo, spazi per respirare. Non è un camper sgangherato con dentro tutte le emozioni del proprietario.
Esempi concreti: due modi diversi di comunicare “autenticamente”
Caso 1 – Freelance:
Giangianna è una copywriter che vuole comunicare in modo autentico. Sui social racconta spesso le sue insicurezze, le difficoltà con i clienti, la fatica di conciliare creatività e scadenze. Ma non spiega mai cosa offre, perché il suo approccio è efficace, quali sono i suoi valori professionali.
Risultato? Tanta empatia, pochi clienti.
Efesto invece parte da ciò che lo distingue: scrive testi per chi ha bisogno di chiarezza in settori tecnici. Racconta come lavora, mostra dietro le quinte, commenta anche i suoi errori, ma sempre con un taglio utile.
Risultato? Meno like, più richieste di preventivo.
Caso 2 – Attività locale:
Una pasticceria artigianale decide di “essere autentica” pubblicando ogni giorno storie su quanto sia stressante il lavoro. Lamentele, ironie, qualche sfogo dei clienti meno amabili.
Risultato? Sembra simpatica, ma anche poco affidabile.
Un’altra pasticceria racconta il dietro le quinte: la scelta degli ingredienti, i piccoli gesti del laboratorio, il rapporto con i clienti storici. Mostra volti, non solo prodotti.
Risultato? Il brand acquista calore, fiducia e valore percepito.
Autenticità significa sapere chi sei… comunicarlo senza cercare l’applauso.
In un mondo dove tutti parlano, essere autentici non vuol dire solo dire la verità.
Vuol dire dire cose che abbiano un senso, che riflettano chi sei, che creino connessione vera, non performance. Vuol dire fare pace con il fatto che non piacerai a tutti, e che va benissimo così.
Autenticità non è un filtro è il processo di togliere quelli che non servono.