Quando non vendi, stai costruendo (e forse è l’unica cosa che conta)

Ascolta bene. C’è un suono che solo chi ha un piccolo business, o lavora da solo, conosce alla perfezione: il silenzio. Non quello zen, rilassante, da meditazione post-yoga. No. Questo è il silenzio assordante di nessun modulo compilato, nessuna call prenotata, nessun ordine confermato. È il rumore bianco che ti fa tremare le certezze, che ti spinge a voler buttare all’aria anni di lavoro per aprire un chiringuito alle Baleari. Oppure a Honolulu con Merlino…
Fa venire voglia di cambiare tutto, di urlare “Basta!”.
E non ti biasimo, ci siamo passati tutti.
Ma se ti dicessi che proprio lì, in quel limbo sospeso tra un bonifico non arrivato e la tentazione di cambiare vita, si sta giocando la partita più importante?
Che in quel vuoto apparente succedono le cose più significative? Il punto è saperle vedere. E no, non serve la visione a raggi X di Superman, ma solo un cambio di prospettiva.
Perché quando non vendi, la verità è che stai costruendo. E stai costruendo le fondamenta per le vendite che verranno.

Il silenzio che urla: quando il lavoro non suona (e non è l’apocalisse)

Se pensi che il silenzio di un e-commerce fermo o di un telefono muto sia la tua condanna definitiva, forse hai solo sbagliato colonna sonora. Non è l’apocalisse, e non è neanche l’inizio di una serie B drammatica che nessuno vuole vedere. È una pausa. E come ogni pausa che si rispetti, può essere strategica. Ma solo se la si sa usare, ovviamente.
Pensaci: quando il flusso di lavoro si interrompe, non è sempre un segnale di fallimento. Anzi, spesso è un momento di grazia mascherato da panico. È la tua occasione per fermarti, respirare, e guardarti allo specchio, senza i filtri patinati delle Instagram Stories.

Il tempo come alleato: specchio per freelance, opportunità per attività locali

Per un freelance, il tempo senza clienti è come uno specchio brutale.
Ti sbatte in faccia, senza pietà, tutte le scelte fatte finora: i contenuti che hai creato, il posizionamento che hai cercato di scucire con le pinze, le strategie che forse non hanno funzionato come speravi.
È il momento ideale per farti quelle domande scomode, quelle che di solito ignori rispondendo a 300 email al giorno: “Sto parlando alle persone giuste?” oppure “Cosa succede se non pubblico per una settimana? Il mondo crolla o ho solo il tempo di andare a fare la spesa in santa pace?”.
Sono domande che fanno sudare freddo, lo so. Quelle che ti fanno venire voglia di sprofondare nel divano con un barattolo di gelato e una maratona di The Office. Ma sono le uniche che ti permettono di aggiustare la mira, prima che il tuo target si trasformi in un buco nell’acqua e tu finisca per parlare da solo.

Per un’attività locale, invece, la pausa può essere fisiologica. È legata alla stagionalità, agli eventi del territorio (e qui in Italia ne sappiamo qualcosa, tra sagre della porchetta e concerti in piazza), alla mobilità delle persone. Ma anche qui, serve consapevolezza. Quel tempo non è un buco nero da riempire con l’ansia, ma un jolly da giocare.
Può essere investito per: rinnovare la vetrina, quella fisica e quella digitale (perché sì, anche il tuo profilo Google My Business ha bisogno di una spolverata ogni tanto).

  • Ascoltare i clienti, quelli che magari ti hanno lasciato un feedback su Tripadvisor o una recensione su Facebook.
  • Riattivare contatti dormienti, quelli che “ci vediamo per un caffè” e poi non ve lo siete mai presi.

E se proprio non entra nessuno, non ti chiudere in casa a guardare repliche di Un Medico in Famiglia. Esci!
Crea partnership con attività affini (il negozio di fiori e la pasticceria, la libreria e il bar), partecipa a mercatini, fatti vedere dove la gente ancora si muove, magari anche solo per passeggiare.
In entrambi i casi, chi lavora da solo o gestisce una piccola attività ha un vantaggio pazzesco: può agire in modo rapido.
Nessun consiglio d’amministrazione da convincere con grafici e proiezioni che non capiscono neanche loro.
Nessun piano marketing da validare da sei livelli di management, ognuno con le sue fisse e i suoi colori preferiti. Solo la necessità di ascoltarsi e scegliere. È un superpotere, usalo!

Nutrire la Community: il tuo asset invisibile (ma potentissimo)

Il tempo in cui non si vende è il tempo in cui si coltiva. E qui viene il bello.
Cosa significa davvero “nutrire la community”?
Non è solo rispondere ai commenti con un “grazie!” preconfezionato o pubblicare con la costanza di un orologio svizzero, senza un’anima.
È dimostrare di esserci anche quando non hai nulla da promuovere.
Come quell’amico che ti chiama solo per sapere come stai, non perché ha bisogno di un favore. È condividere contenuti che fanno bene, che informano sul tuo settore, che intrattengono con una battuta intelligente, che fanno riflettere.
È aprire spazi di confronto, far sentire le persone parte di qualcosa, non solo dei numeri di un tuo funnel.
Creare valore è un lavoro da formichina, quotidiano, invisibile ai più, e spesso non quantificabile in euro o like. Ma è proprio quello che permette, domani, di vendere senza urlare, senza le sirene d’allarme delle promozioni “imperdibili solo per oggi”.

Perché chi ti segue si fida già.

Si fida perché non stai più cercando clienti disperatamente, ma stai parlando a persone che ti conoscono, che sanno da dove vieni, che hanno camminato accanto a te anche nei momenti in cui non avevi nulla da lanciare, nessun prodotto scintillante da mostrare.

Chi coltiva una community costruisce asset.

Un asset è qualcosa che genera valore nel tempo, come un immobile. Chi aspetta solo il momento della vendita, costruisce promozioni. E indovina chi vince a lungo termine? Non è un quiz difficile, te lo assicuro.

Storie di Successo “Anti-Vendita”: quando il brand nasce dalla conversazione.

Oggi ci sono realtà imprenditoriali che sembrano nate già complete, perfette, con un’identità chiara e un pubblico devoto. Sembrano uscite da un manuale di marketing con la copertina glitterata. Ma se si guarda indietro, se si scava un po’, il percorso è molto diverso, e decisamente meno “manuale”.

Alcuni dei brand emergenti più interessanti sono nati da persone che, inizialmente, non avevano nulla da vendere. Avevano solo una voce, una passione che bruciava dentro, e una voglia matta di condividere.

  • Amabile, il brand di gioielli creato da Martina Strazzer, non è nato con una linea già pronta e un piano marketing da paura. È nato su TikTok, con video semplici e ironici, e con il racconto costante, quasi quotidiano, che rappresentavano gli stereotipi femminile di una generazione… così il pubblico è cresciuto insieme a lei. Quando il primo prodotto è arrivato, non serviva convincere nessuno. La community era già lì, pronta a supportare. Martina non ha venduto gioielli, ha venduto un viaggio nella creazione di esso.
  • Walking Wolf, il progetto editoriale e personale di Thomas Colussa, è nato da una storia personale condivisa, da parole che parlavano di montagna, di silenzio, di consapevolezza, non da un’analisi di mercato. Ha raccontato la storia di Numb, un cane che ha rischiato non camminare, e poi ha scalato il Monte Bianco. Prima ancora dell’Accademy e dell’E-Commerce specializzato, c’erano le riflessioni. Prima della community, c’era l’urgenza di raccontare. È quel racconto, così autentico e viscerale, che ha chiamato le persone. Successivamente è anche venuto il libro è venuto dopo, come una naturale evoluzione di quel legame. Thomas non ha venduto un libro, ha venduto la sua storia meravigliosa di un rapporto tra uomo e Lupo Cecoslovacco… Ha aperto una finestra sul suo mondo interiore, e le persone, stanche del rumore del mondo, si sono affacciate e sono rimaste.
  •  Allydollina ha creato un pubblico prima di vendere… La sua attività è radicata nella quotidianità. Su TikTok e Instagram pubblica contenuti autentici sul quotidiano di mamma, influencer, roscia di Roma. È famosa per momenti semplici, “oramai è la quotidianità”, dove condivide routine, opinioni e dettagli di vita comune, ha visto una nicchia dove potersi infilare e ha creato un’azienda di prodotti per capelli molto valida, che è cresciuta tantissimo in poco tempo. Prodotti validti nate da esigenze spoecifiche, con un pubblico già pronto: ha contribuito a vari passaggi di “programmazione” dei prodotti.
  • Charlotte Matteani Giornalista e scrittrice milanese, attiva dal 2011 su testate come Il Fatto Quotidiano, Fanpage e Domani. Specializzata in inchieste su lavoro precario e giustizia sociale, ha dato alle stampe “Gli italiani non hanno più voglia di lavorare (e hanno ragione)” (Cairo, 2025), in cui analizza lo sfruttamento lavorativo e l’equità occupazionale in Italia. Ma il libro è frutto di anni di lavoro e inchieste, di divulgazione e voler aiutare. La seguo da anni, ha sempre pubblicato con costanza, con voglia di condividere il suo punto di vista e non di vendere. Fidatevi: la differenza è abissale.
  • Amore, di Camilla Clemente… Ho scritto di lei nell’Aprile 2022. Ad oggi si è laureata e sta portando il suo brand a livello incredibili. Camilla mi piace, parla alla sua generazione facendosi capire, ma anche chi è più grande – come me – l’apprezza.

Siamo onesti: guardare quel numero di follower su Instagram o LinkedIn è un po’ come controllare il saldo del conto in banca. Fa un certo effetto, vero? Fa sentire importanti, un po’ come Bruce Wayne che guarda le sue infinite proprietà. Ma c’è una verità scomoda che nessuno ti racconta, e che io, da brava amica che ti vuole bene, ti sbatto in faccia: avere 389.577.326 follower che non interagiscono è come avere una Ferrari parcheggiata in garage senza benzina. Fa scena, ma non ti porta da nessuna parte.
La realtà è un’altra: mille follower veramente attivi, appassionati, che si fidano di te e interagiscono, valgono più di un milione di “fantasma” che scorrono la tua bacheca senza neanche un battito di ciglia. È come avere mille amici veri con cui andresti in capo al mondo, contro un milione di contatti in rubrica che non ti risponderebbero neanche a un “Ciao”.

Quando non vendi, sei ancora tu (e sei fighissimo)

Tutto questo per dirti che il valore del tuo lavoro non si misura solo dal fatturato mensile. Non è solo la cifra che vedi sul conto in banca che definisce il tuo impatto.
Si misura da quante persone pensano a te quando leggono qualcosa che le colpisce, anche se non riguarda direttamente il tuo prodotto. Da quante ti consigliano ad amici e colleghi anche quando non hai un’offerta attiva, quando non c’è un link in bio da cliccare. Da quante ti scrivono “ho pensato a te” senza che tu abbia chiesto nulla, solo perché hai lasciato un’impronta nella loro mente e nel loro cuore.
Chi sei, quando non vendi? Sei ancora una guida. Una voce. Un riferimento.
Ma solo se smetti di pensare che la vendita sia l’unico momento in cui il tuo lavoro conta, l’unico in cui vali qualcosa.
Se usi le pause per costruire, per capire meglio chi sei e a chi vuoi parlare, per condividere valore senza aspettative immediate, per creare relazioni autentiche… stai facendo il lavoro più importante di tutti. Stai costruendo la base solida, il terreno fertile su cui potrai vendere davvero, quando sarà il momento giusto. E lo farai senza dover urlare, senza spammare, senza sentirti un venditore porta a porta di aspirapolveri.
E se oggi non è quel giorno, se il silenzio è ancora il tuo compagno, va bene così. Riposati, rifletti, ricaricati. Perché il tuo valore non svanisce con un carrello vuoto. Si sta solo preparando a esplodere.

La potenza dei 1000 veri fan: non follower, ma “fanatici del tuo merito”

La verità, quella che fa male ai guru che vendono schemi facili, è che non ti servono milioni di persone. Ti servono i tuoi “1000 true fans”. Quelle persone che sono così appassionate di quello che fai, di quello che dici, del tuo modo di essere, che comprerebbero qualsiasi cosa tu lanci. Ti sosterrebbero a prescindere. Sono i tuoi ambasciatori non pagati, i tuoi difensori, i tuoi migliori clienti e, soprattutto, i tuoi fan.

Sono quelli che:

  • Comprano i tuoi prodotti o servizi appena li lanci.
  • Ti raccomandano ad amici e colleghi senza che tu glielo chieda.
  • Interagiscono, commentano con domande intelligenti, ti ringraziano, ti danno feedback sinceri.
  • Aspettano la tua prossima mossa, il tuo prossimo articolo, il tuo prossimo post.

Questi sono i veri asset del tuo business. Sono le persone con cui costruisci un legame reale, quelle che ti fanno sentire meno solo quando il silenzio delle vendite si fa sentire troppo forte.

I social non nono un bancomat: costruire relazioni, non transazioni immediate

E qui arriviamo al secondo punto fondamentale: i canali social.
Se li usi solo per vendere, per spammare la tua offerta del giorno, è come andare a un primo appuntamento con l’anello al dito e la lista nozze in mano.
Funziona raramente, e di solito ti fa scappare tutti a gambe levate.
I social non sono un bancomat, non sono un megafono per urlare “Compra! Compra! Compra!”.
Sono spazi di conversazione, di condivisione, di costruzione di relazioni. Sono il luogo dove dimostri chi sei, non solo cosa vendi. Sono la tua vetrina, certo, ma anche il tuo salotto.
È il luogo dove coltivi la tua community. Non è solo rispondere ai commenti o pubblicare con costanza, ma è dimostrare di esserci anche quando non hai nulla da promuovere. È condividere contenuti che fanno bene, che informano, che intrattengono. È aprire spazi di confronto, far sentire le persone parte di qualcosa. Creare valore è un lavoro quotidiano, invisibile, spesso non quantificabile, ma è proprio quello che permette, domani, di vendere senza urlare.

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