Il “Tono di Voce”è strategia, non poesia.

Copertina Articolo: Tono di Voce | Judy Blackmore | Consulente di Marketing | Digital Strategist - Perugia

Il tono di voce: elemento fondamentale per la nostra comunicazione.

Nel grande flusso del marketing contemporaneo, dove tutto sembra ruotare attorno a strategie, funnel, numeri e KPI, c’è una componente che spesso viene sottovalutata perché “non si misura subito”: il Tone of Voice. Eppure, è proprio lui a determinare se quel contenuto verrà letto o ignorato. Se la newsletter verrà aperta o archiviata. Oppure se il brand verrà percepito come umano, riconoscibile, vivo o semplicemente come uno dei tanti che usano la parola “innovativo” senza innovare niente.

Il Tone of Voice non è un vezzo stilistico, non è una moda da designer ispirati e nemmeno un abbellimento da social media manager poetici. È la voce strategica con cui il tuo brand comunica chi è, a chi parla e perché vale la pena ascoltarlo.
In altre parole: se il branding è l’identità visiva e valoriale di un brand, il TOV è la sua voce. È come entra in una stanza, come racconta una storia, come gestisce una critica. Dobbiamo considerarlo l’interfaccia emotiva e semantica tra azienda-attività e pubblico.

In un piano di marketing ben fatto, il TOV non si decide dopo aver scritto i post: si definisce all’inizio. Quando si studia il posizionamento, il pubblico, la personalità del brand. Perché un brand posizionato come vicino, semplice, umano, non può poi parlare come un atto notarile. Allo stesso modo, un brand tecnico, di alta gamma, non può permettersi uno stile da meme account (a meno che non sia proprio quella la sua strategia, e allora… *applausi*). Il tono si allinea al branding, e ne diventa estensione espressiva. È dove la teoria del brand diventa pratica quotidiana.

Eppure, c’è un errore che vedo spesso: pensare che il TOV sia solo “come scrivi”.

In realtà, è cosa scegli di dire, come lo dici, a chi lo dici… e cosa scegli di non dire affatto.

È ritmo, lessico, struttura, intenzione. È voce, ma anche scelta. È contenuto, ma anche relazione. È il motivo per cui due brand possono vendere lo stesso servizio, con le stesse competenze, eppure uno dei due resta impresso, l’altro no.

Conosci il tuo pubblico? (Mercato, Target e nicchia…)

Parlare a tutti è il modo più veloce per non farsi ascoltare da nessuno. È un errore comune, e perfettamente comprensibile; voler essere “inclusivi”, “versatili”, “aperti a ogni possibilità”, soprattutto all’inizio.
Ma in comunicazione, come nel branding, la chiarezza è potere.
La chiarezza nasce solo quando smettiamo di indovinare a chi stiamo parlando e iniziamo ad ascoltare e definire davvero il nostro pubblico di riferimento.

Conoscere il proprio target e la propria nicchia non è una formalità da checklist di marketing, è la base concreta su cui costruire ogni scelta comunicativa: dal tone of voice alla palette colori, dal formato dei contenuti alla struttura dell’offerta.
È grazie a questa conoscenza che possiamo evitare di sembrare “troppo tecnici” per chi non ci capisce, o “troppo basic” per chi si aspettava un contenuto ad alto valore. È il contesto che ci permette di modulare il messaggio, di renderlo preciso, rilevante e soprattutto efficace. Altrimenti, stiamo solo parlando addosso al nulla, anche se lo facciamo con un bellissimo font.

Ecco perché prima di progettare un brand, un post o una campagna, serve un momento di stop.
Fermarsi ad analizzare chi vogliamo raggiungere, chi stiamo già raggiungendo, e chi invece stiamo escludendo (a volte anche senza saperlo). È un lavoro che richiede tempo, ma fa risparmiare decine di contenuti inutili dopo. Solo conoscendo davvero il nostro pubblico possiamo scegliere le parole giuste, i colori giusti, e il paradigma di vendita più adatto.

Perché la verità è semplice: il tuo brand non sei tu. È il modo in cui gli altri ti percepiscono.

E per influenzare quella percezione… devi sapere chi hai davanti.

Gelato, sorbetto e ghiacciolo: sono la stessa cosa? No.

Nemmeno: mercato, target e nicchia.

Hanno significati precisi, ruoli diversi, e soprattutto impatti molto concreti sulla strategia di comunicazione e branding.

MERCATO: è l’insieme ampio di persone che potrebbero essere interessate a ciò che offri. È la mappa iniziale. Comprende segmenti diversi, bisogni diversi, livelli di consapevolezza e di disponibilità economica. Il mercato è il tuo “universo potenziale”, ma proprio perché è così vasto, non puoi rivolgerti a tutti allo stesso modo. Sarebbe come urlare in una piazza: tutti ti sentono, pochi ti ascoltano.

TARGET: è la porzione di mercato che hai scelto di raggiungere con la tua comunicazione e le tue offerte. Sono le persone che vuoi attirare, convincere, coinvolgere. Il target ha caratteristiche specifiche (età, professione, interessi, comportamenti) ed è il riferimento concreto per tutte le tue scelte di tono, contenuti, canali e visibilità. Se il mercato è l’universo, il target è il pianeta dove hai deciso di atterrare.

NICCHIA: è il segmento ancora più preciso all’interno del tuo target. È il punto focale, la fetta di pubblico più affine a ciò che fai, come lo fai e perché lo fai. Lì ci sono le persone che ti capiscono al volo, che si riconoscono nella tua voce, e che sono disposte a scegliere te – e non il tuo concorrente -.
La nicchia è dove la tua proposta non è solo rilevante: è desiderata.

Molte volte mercato, target e nicchia vengono usati come sinonimi. Ma confonderli è pericoloso, perché ognuno di questi livelli ha un impatto diverso sulle tue decisioni di marketing. Il mercato ti dà il contesto, il target ti indica la direzione, la nicchia ti permette di diventare rilevante e riconoscibile. Se comunichi al mercato, sei troppo generico. Se parli solo al target, sei competitivo. Ma se parli alla tua nicchia… sei inevitabile. Ed è lì che nasce un brand con voce chiara e clienti affezionati.

Per questo in questo articolo non ti darò le solite definizioni da manuale. Ti porto una mappa diversa. Una lista di Tone of Voice non convenzionali, per aiutarti a uscire dal grigiore del “professionale ma accessibile”, e scegliere invece un’identità che sia veramente tua. Perché tra sembrare impostati e sembrare vivi, io spero tu scelga la seconda.

10 Esempi, di possibili “Toni di Voce”

1.     “Gentilmente Sarcastico”

Per brand che sanno le cose, ma non si prendono troppo sul serio e vivono con leggerezza la loro presenza online. Perfetto per consulenti, creator o freelance che offrono contenuti solidi con un twist ironico.
Esempio: “Sì, potresti postare tutti i giorni. O potresti dormire e avere idee migliori. A te la scelta.”

2.     “Emotivamente Tecnico”

Per chi lavora in ambiti complessi (tech, analisi, data), ma vuole creare connessione umana. La regola è: si può spiegare un algoritmo anche con le metafore del cuore.
Esempio: “Ogni dato è una storia. Devi solo sapere dove guardare.”

3.     “Vintage Visionario”

Parla come se scrivesse da un’altra epoca, ma dice cose attuali. Ideale per chi ha uno stile retrò, un’estetica curata, o un pubblico che ama l’atmosfera da lettera scritta a mano.
Esempio: “Gentile lettore, questo post non salverà il mondo, ma potrebbe salvare il tuo feed dalla noia.”

4.     “Protesta Elegante”

Attitudine alla critica, ma con stile ed educazione. Per brand impegnati, consapevoli, che vogliono dire “non sono d’accordo” senza gridare.
Esempio: “No, non ci serve un altro contenuto virale. Ci serve un contenuto vero.”

5.     “Nerd Appassionaro”

Per chi ama approfondire, citare, spiegare. Ma lo fa con entusiasmo e passione per ciò che racconta. Ottimo per brand educativi, divulgatori, formatori.
Esempio: “Questo concetto è nato nel ‘97, come i Pokémon. Coincidenze? Forse no.”

6.     “Confidenzialmente Brillante”

Parla come se stesse scrivendo a un’amica intelligente, dalla risposta pronta e non sbaglia mai tempismo. È caldo, vicino, ma pieno di insight.
Esempio: “Sei troppo brava per lasciarti trascinare dalle provocazioni. Lo sai, vero?”

7.     “Saggio Scintillante”

Per chi vuole un tono da mentor, ma senza sembrare un vecchio guru stanco. Perfetto per coach, formatori, consulenti “senior ma cool”.
Esempio: “L’esperienza insegna. Ma l’ironia fa restare.”

8.     “Drammaticamente Onesto”

Un tono che si prende sul serio, ma con consapevolezza. Perfetto per storytelling, micro-narrazioni, contenuti vulnerabili.
Esempio: “Non ho pubblicato per due settimane. Non ero ‘in fase strategica’. Ero stanca. È tutto ok.”

9.     “Visionario Pacifico”

Per chi comunica grandi idee, ma con tono calmo e disteso. Ideale per creativi, innovatori, brand di crescita personale o sostenibilità.
Esempio: “Forse non cambieremo il mondo oggi. Ma possiamo cominciare da un post. Sei dei nostri?”

10.  “Punk Strategico”

Per chi rompe le regole… ma lo fa con un piano sotto. Il tono giusto per chi crea contenuti che sembrano casuali, ma sono chirurgici.
Esempio: “Questo post non ha hook, CTA o struttura. Ma lo leggerai fino alla fine. E sai perché? Magia Strategia.”

Conoscere il proprio Tone of Voice non è solo un esercizio creativo.
È un atto di consapevolezza strategica. È scegliere come essere percepiti, come entrare nella testa (e nel cuore) delle persone, come far sì che ogni contenuto – anche il più semplice – porti con sé una firma riconoscibile.
Abbiamo parlato di mercato, target e nicchia, perché il TOV vive nel contesto di chi ti ascolta.
Abbiamo visto che il tono non è solo “come parli”, ma soprattutto perché parli, a chi e con quale intenzione.
Abbiamo capito che non serve essere brillanti, ironici, poetici o super tecnici: serve essere coerenti, autentici, leggibili.

Serve scegliere con criterio.

In un mondo saturo di contenuti, l’unica vera differenza è la voce con cui li dici.
E allora, il consiglio finale è semplice: smettila di scrivere “come si deve”. Comincia a scrivere come sei.
Trova il tuo tono. E usalo come si usa una luce puntata in scena: per farti vedere, certo. Ma anche per far vedere meglio il mondo a chi ti guarda.

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